Non c’è più luce di Natale

Sono gli ultimi giorni dell’anno. Il benessere
accende, verso sera, in tutti gli uomini
una specie di follia: la smania inespressa
di essere più felici di quanto siano…

È sempre una speranza che dà pietà: anche
il piccolo borghese più cieco ha ragione
di averla, di tremarne: c’è un istante
in cui anch’egli infine vive di passione.

E tutta la capitale di questo povero paese
è un solo ansito di macchine, una corsa
angosciata verso le antiche spese
di Natale, come a una necessità risorta.

Potente luce di Luglio, ritorna, oscura
questo debole crepuscolo di pace,
che non è pace, questo conforto ch’è paura:
ridà parole al dolore che tace.

Manda i cadaveri ancora insanguinati
dei ragazzi che hai illuminato potente:
che vengano qui, tra questi riconsolati
benpensanti, tra questa dimentica gente.

Vengano, con dietro il tuo chiarore di piazze
fatte campi di battaglia o cimiteri,
tra queste ciniche chiese dove la razza
dei servi torna alla sua viltà di ieri.

Vengano tra noi, a cui non è rimasta
che la speranza di una lotta che dispera:
non c’è più luce di Natale, o di Pasqua.
Tu, sei la luce, ormai, dell’Italia vera.

Pier Paolo Pasolini

                                                                 

 L’Unità, 21 gennaio 1961


Immagine in evidenza: Autoritratto con fiore in bocca (1947) – Pier Paolo Pasolini

Mentre ogni cielo tace

Che i fumi siano nubi
i missili, gli uccelli
il rombo
preludio di sirene
il mare; e brilli
solamente un sole ameno
all’orizzonte, sui corpi amati
e vivi dei bambini
mentre ogni cielo tace
pace.

Niente di immediato

Credevo fiorire sarebbe stato
una cosa semplice,
come nel sonno dei campi
dopo la pioggia infinita dei giorni.

Ma la vita aveva in grembo
altre promesse,
alti progetti, per me,
niente di immediato;
sarei fiorita, sì, ma non qui
dalla tenera terra:
dalla cruda durezza del ramo.

Non dovevo solo essere, io
dovevo
diventare.


Immagine in evidenza: Vincent Van Gogh

Mai sola

Io qui non sono sola

nel tumulto di cascata
che ricorda la mia mente
e dai frantumi si compone
nel cieco scorrere di un fiume
specchiando luce sulla vita
mentre lo seguo fianco a fianco
lungo un brusio di foglie e rane.

Nell’animale
mite e selvatico
che a volte ha un po’ paura
e attento osserva
proprio di me
che assai lo sento
più simile al mio stato
che un umano.

Io qui non sono sola
finché la musica m’inonda
e ancora mormora tra sé
il vecchio canneto
sotto impetuosi corsi d’autostrada;
se un venticello fa pendolare
l’arundo fievole sul fiume.

Tra madri e padri alberi
di sempreverde pace
di abbracci, terreni e aerei
null’altro
se non d’amore;
nella carezza
chiara del sole
e nell’insondabile
sollievo che dà il cielo
nei venti confusione
di rinascita.

E passo davanti a passo
scontorno in particolari il mondo
prestando attenzione al volo
di radi uccelli
non a un aereo
che passa, senza riguardo
oscurando il sole.


Così imparo un altro vivere
qui e dove mai sarò sola:
natura in cui la mia
splendore inconoscibile
si scopre e si disvela.


Immagine in evidenza: Sakai Hōitsu

Dopo la tempesta

La vita è passata
come sul lungomare una tempesta;
ha scosso lidi, divelto assi
scagliato inciviltà sui sassi.
Quello che resta: piaghe d’asfalto
graffi di sabbia, sparsi
lungo la strada, le canne, i sassi.

Tutto il mio cuore in un insieme
paesaggio infranto di un paese.

Attraversarlo è camminarci dentro
cercando illesi accenni di speranza:
il sole sorto al cupo di un tramonto
il mare inabissare la sua pena
arbusti verdi e grassi come carne
in un respiro, la mia presenza.

Poi soffermarsi a un gemito
tornare sui miei passi:
preme il fico di mare, il tufo.

Toglierlo via, per pura pietà
o perché, chissà, se cura
altra pena allevia;

ma il cuore è la pianta
il cuore, la stessa pietra.

Che fare davvero
lo insegnerà, muto
il cielo.


Immagine in evidenza: Aykut Aydoğdu

Musica: Erbarm dich mein, o Herre Gott, BWV 721 (Arr. Thomas) – Johann Sebastian Bach, Fred Thomas, Aisha Orazbayeva, Lucy Railton

La trentasettesima estate

fu il cielo nero di città accecanti
un mare ossidiana spenta;
le stelle, sepolte di terra
ma vive impazzite
fremevano il suolo;
fu un lento novilunio
senza un faro di luna e d’ombra
a guardarsi intorno, e laggiù
una barca ubriaca.

Talvolta, un’onda
spargeva sprazzi di luce bianca
gabbiani sciavano il nero
come dolci aeroplani;
poi un volo fulmineo d’alici d’argento
e il trionfo d’un pesce impensato
in un arco sull’acqua.

Fu socchiudere gli occhi e affidarsi
all’istinto e al vento
e nel breve spiraglio di veglia
avvistare quell’onda e vedere
forse mai così chiaramente
l’altro volto – il più segreto – della vita
nel suo lento farsi luna.


Immagine in evidenza: Moonassi

Serenità distante

Serenità d’istante,
lampo di quiete del giorno,
boccioli di rosa si riempiono
al bacio dell’aria,
il corpo si sbriciola in sciame
e si posa.

È questa la vita di adesso:
riemergere a sprazzi,
raccogliere ossigeno,
isolare il tempo,
quando spaventa guardarlo
fino al suo limite d’orizzonte;
racchiudere vastità in momenti,
comprenderlo, per non cadere,
tra i bordi di un passo.

Di rado il silenzio accompagna
l’incerto cammino,
più spesso, è un brusio alle spalle:
passato che incanta ed insegue,
quell’eco d’amore che ancora reclama
attenzione.

Poi tu, mia promessa Euridice,
ricordo felice che sfuma
al fuggevole sguardo.


Immagine in evidenza: Aykut Aydoğdu

Una domenica di guerra

Potessero opporsi alla guerra
muraglie di fiori sui balconi
a Kharkiv,
e tra file d’eserciti d’erba
guarnire giardini;

farsi scudo di pace
sul corpo celeste,
e su un padre e una madre
disarmati e dispersi
in un punto nascosto:
dove morte non è,
ma nemmeno più vita.

Mentre bombe di pixel e inchiostro
fanno stragi immediate
d’intimità.

Con che forza può sorgere il sole
a Kharkiv, con che occhi la luna
affacciarsi sgomenta
in un buio distinto dal cielo
e ferito dal tuono
senza il fioco splendore di un’alba.

Pioverà notti e giorni a Kharkiv:
prima schegge e macerie,
franeranno le nubi,
e poi piano,
e poi forte,
un battesimo d’acqua;
nascerà ardente il fiore
oltre il vetro incrinato,
dentro l’aria rinchiusa,
ritrovata, la casa.


Di là intanto,
centomila ampi passi a occidente,
nel viavai stralunato di treni,
una giovane donna e il suo piano
inchiodati imperterriti al suolo;
così ardite e danzanti, le dita:

il prodigio del suono
è una bolla che lieve si muove nell’aria;
ogni corpo che trova carezza
e trapassa,
sicura.


Immagine in evidenza: Eugenia Loli

Eterno succedersi d’onda

E mi sento quest’onda

che più forte si fa
per staccarsi dal mare:
di rigetto sospinta s’innalza, s’incresta
e si scaglia lontano.

Ma l’impatto è in caduta
e perduta la forza, rallenta,
accasciandosi in velo.

In un limbo di terra e di spuma
il suo essere stesso l’attira, l’incaglia,
e ricaccia con sé.

È un eterno succedersi d’onda
fuggire da te
che sei il mare.


Credits

Immagine in evidenza: Anne de Vries, Silent Storm

Valeria Minciullo – Poesie da “Preludio”

Inverso - Giornale di poesia

Oltremare

Ho visto il mare oziare in lontananza
sul letto d’alga verde della primavera,
distese d’oltremare adagiate sopra l’erba,
erano l’acqua che ninnava col vento,
la mancanza che si muta in sogno.

Ho visto il mare in lontananza
e l’ho raggiunto per immergervi la mano,
mi colsero sorpresi i capolini dei fiori sull’attenti,
e le creste blu dei petali che irridevano col vento
il mio sogno che ritorna mancanza e disincanto.

*

Un bacio

Saliva a ondate
l’acqua,
bocca a bocca,
scendeva un rio
segreto,
lungo il tronco,
stillava da una crepa
via dal monte,
scirocco il vento
dolce respirava,
sentivo l’erba rasa
farsi umida.

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