La vita è passata
come sul lungomare una tempesta;
ha scosso lidi, divelto assi
scagliato inciviltà sui sassi.
Quello che resta: piaghe d’asfalto
graffi di sabbia, sparsi
lungo la strada, le canne, i sassi.
Tutto il mio cuore in un insieme
paesaggio infranto di un paese.
Attraversarlo è camminarci dentro
cercando illesi accenni di speranza:
il sole sorto al cupo di un tramonto
il mare inabissare la sua pena
arbusti verdi e grassi come carne
in un respiro, la mia presenza.
Poi soffermarsi a un gemito
tornare sui miei passi:
preme il fico di mare, il tufo.
Toglierlo via, per pura pietà
o perché, chissà, se cura
altra pena allevia;
ma il cuore è la pianta
il cuore, la stessa pietra.
–
Che fare davvero
lo insegnerà, muto
il cielo.
Immagine in evidenza: Aykut Aydoğdu
quanti echi di acqua che si cheta, pur ancora tutta carica di furore.
servirebbe la tua voce a dare vita a questi suoni, e invece è silenzio in quasi tutto il blog.
mannacc.
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Il silenzio dopo la tempesta, infatti, che sconquassa o cancella. E adesso sono muta come il cielo, ma arriverà, imprevedibile come una scossa di terremoto o un commento
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