Una sera di pioggia

Il corpo appena nudo
un’onda in movimento
sdraiato sul sedile
di una renault spenta;
le nubi già intessevano la pioggia
mentre una donna sirenetta
giocava a farsi mare,
e un dito d’uomo era una nave
che viaggiava solitaria
tra la clavicola e la spalla
sulla sua pelle d’acqua e luna.

Lontani,
gli occhi dei palazzi
li circondavano di stelle.

Chissà cosa farà
la gente triste nelle case
se la felicità che è lì racchiusa,
è solo vostra,
e se si accorgeranno i due signori
con l’ombrello
che ora costeggiano quell’isola
di mare e di metallo.

Tagliando i fili della pioggia
passeranno,
guardando forse di sottecchi,
con un sorriso nelle tasche;
e mentre i piedi corrono alle case,
la testa volge indietro di trent’anni,
dove balena lieve ancora
il cielo blu di un’altra età.

 

 

 

 


Credits

Immagine in evidenza: Giovanni Esposito (Quasirosso)

Il mio prossimo viaggio

Raggiro un dolore pensando
al mio prossimo viaggio.

Mi fa da cappotto, il pensiero,
nel freddo che arriva improvviso
e mi lascia ristretta,
come il niente di te
che mi hai imposto.

Ricordo dicembre,
la notte più grande del giorno,
e tu, come il sole di là dal ventuno,
indugiavi nel cielo
insinuando la luce oltre l’uscio del buio,

– così mite l’inverno
non capitava da tanto –

Nemmeno la fine di marzo
ed io già a primavera
con te che correvi
inondando di giallo
i miei campi
e mi aprivi e chiudevi
la bocca di baci.
Sei bella, sei un sogno
– dicevi.

Un’estate grandiosa
attendeva alle porte,
ma eri un sole furioso
con la fretta di amare
e bruciavano fiori,
mie inutili spine a difesa,
tra le nostre parole
infuocate,
sedate,
incomprese.

Ora è autunno e sei spento,
esaurito
il tuo slancio,
o sei brace che arde
in disparte, nascosta, in silenzio,
mentre il giorno si accorcia
e si fa di cristallo,
tirandosi addosso man mano
una coltre coperta
di stelle.

Ho un sentore di neve
per questo dicembre,
e quel viaggio è per prendermi
il sole che manca

così freddo mi pare l’autunno,
non capitava da tanto

 

 

 


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Immagine in evidenza: Mateja Kovac

Il mio piccolo cielo sul mare

Ansima il cielo,
il mio piccolo cielo sul mare,
e mi chiedo se sa,
se ha visto a Ponente
quel ponte campato
crollare,
le vite all’oscuro
cadere,
i volti distinti
degli uomini in grigio
gli esperti
annegare ogni colpa.

Io credo che sappia,
– m’illudo c’insegni –
e su questa mia piccola terra
mi sembra che si agiti
in alto una belva,
e ha gli artigli lucenti
che graffiano i lividi
muri,
un ruggito che intima fuga.

La minaccia è incombente,
ma la gente al suo lido rimane,
l’estate, la vita normale
continua

– È giunta la pioggia
– No, è solo un bambino che gioca
coi sassi sull’acqua

Attendono gli uomini,
indugiano, sfidano il tempo

e nel mentre dimenticano

finché non arriva
– annunciato –
il tracollo del pianto.

 

 

 


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Immagine in evidenza: Nynne Rosenvinge

27 luglio 2018

C’è un nocciolo antico,
immutato e protetto,
sottratto alla mano
del tempo
e al progresso,
un comune sentire
riscosso
nelle notti adombrate
d’eclissi.

E quando la Luna
si schiera all’opposto
del giorno,
e nell’ombra terrestre
che brilla
si finge di rosso,
noi minimi
siamo l’evento,
elementi conformi
di un unico e saldo organismo
che osserva dal basso
– pulsante –
il suo cielo, al cospetto,
commosso.

Sul mio tetto,
però,
questa notte,
c’è un cielo di usuale
mistero,
e sono io
l’elemento furtivo
a staccarsi coi piedi
da Terra,
la bambina rapita
che fugge di casa,
con la bici a mezz’aria
va in cerca,
e poi incontro

– raggiante –

alla Luna.

 

 

 

 


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Immagine in evidenza: Stella Maria Baer

Distesa

Distesa,
la pelle scurita dal sole,
il vestito che mi hai regalato
ha lo stesso colore dell’erba,
onde brune di rami caduti
e radici affioranti
i capelli,
gli anni degli alberi
dentro i miei occhi castani,
sprazzi di muschi,
e bagliori dorati,
io,
la natura,
e tu
– su di me –
con la faccia di nuvola
e l’alba che allegra
le guance,
sei il cielo
negli occhi,
sei il cielo
con quella maglietta.

Tu d’aria leggero
mi bagni,
io densa di fertile
terra rinasco,
lavanda che fila col vento…
il molle confine tra i corpi
non è più indefinito miraggio.

Increduli, il cielo
e la terra domandano
l’unione – per loro – impossibile.

 

 

 

🎧: Come una roccia – IACAMPO


Credits

Immagine in evidenza: Martina Farina

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